quarta-feira, 3 de novembro de 2010

Torniamo ai classici, sarà un progresso!


A partire dal XVIII secolo, lo studio del latino e del greco si è trasformato sempre più in un esercizio autoreferenziale. È arrivato il momento di rivalutarne il grande potenziale umanistico e pedagogico

di Luigi Miraglia


Nonostante alcuni proclami informati alla più vuota delle retoriche, l’impressione generale che oggi si riceve è che dalla classe dirigente, dal potere politico, da chi regge l’economia, e spesso, purtroppo, persino da chi dovrebbe insegnarla e trasmetterla, la cultura classica e umanistica sia guardata con sufficienza, quando non con disprezzo. Qual è il motivo di questa generale svalutazione? Credo che, come sempre avviene nei fenomeni storici, le cause siano molteplici e s’intreccino fra loro. Proverò a elencarne qualcuna.
Sin dalla fine del XVIII secolo gli studi classici, trasformatisi sempre più, per opera del Wolf e di molti altri, nelle cosiddette “Scienze dell’antichità”, si sono gradualmente allontanati dalla realtà presente e viva, creando una frattura insanabile fra la vita e gli studi. Nonostante l’impegno innegabile di molti studiosi e intellettuali di formazione umanistica nel campo della morale, della politica, del progresso civile, l’impostazione delle discipline classiche nelle scuole, e soprattutto nelle università di tutt’Europa e d’oltreoceano s’è trasformata in un atteggiamento archeologico di studio del passato, vissuto come lontano e separato da noi, attenuando assai, o addirittura dileggiando come dilettantesco e naïf, il valore etico, civile e di formazione delle coscienze che, nel confronto coi grandi scrittori, gli umanisti avevano visto e coltivato. Una praepostera diligentia, una pedanteria erudita ha pervaso tutti gli studi classici dopo una giusta presa di posizione sulla necessità di una prospettiva storica che evitasse arbitrarie attualizzazioni. Si è gradualmente accentuato quel che ci divide, mettendo in ombra quel che ci accomuna; s’è perduta la sintesi, a favore d'un’analisi minuziosa; hanno prevalso in maniera fortissima la grammatica storica, la critica testuale, il dettaglio sullo sguardo complessivo, il microscopio da laboratorio sull’ampia visuale di chi si pone su un poggio elevato e spazia su vasti orizzonti. La perdita d’un sensus communis che ha caratterizzato questa trasformazione, ha fatto sì che chi non era uno specialista, e chi non intendeva dedicare la vita allo studio di monumenti da museo coperti di polvere e muffa, non sia più riuscito a comprendere perché tutti coloro che erano destinati a occupare posti d’un certo rilievo nella società dovessero studiare il latino, il greco e la storia antica; i difensori delle discipline classiche non hanno saputo far altro, allora, che arroccarsi su posizioni difensive, inventando la giustificazione, che hanno sbandierato per ogni dove fino a farle perdere ogni forza argomentativa, della Formale Bildung: “Il latino e il greco, è vero - hanno detto - son lingue morte; morta è la civiltà che se ne serviva per esprimersi; morto è il mondo a cui esse lingue appartenevano. Noi, però, non le studiamo per imparare a parlarle o a scriverle; tutto sommato c’interessa poco anche poterle leggere comprendendole correntemente; quel che conta è che attraverso di esse noi faremo praticare al ragazzo delle scuole e allo studente delle università una ‘ginnastica mentale’, un esercizio d’analisi e di pazienza che non ha pari in nessuna delle altre discipline che possono proporsi; egli svilupperà accuratezza, diligenza, forza d’animo di fronte agli ostacoli, saprà analizzare con acribìa e metodo anche il più difficile dei problemi, ‘eserciterà la sua attenzione, la sua memoria, il suo intelletto, e ogni altra capacità psichica’ (F. A. Wolf, Consilia scholastica).”

Fino a quando il prestigio secolare delle discipline umanistiche ha esercitato la sua forza, anche strumentalmente sfruttata da governanti senza scrupoli, questa incredibile giustificazione è bastata, perché il latino e il greco rimanessero a occupare un posto primario nelle scuole di tutt’Europa. Tuttavia, a mano a mano che questo prestigio diminuiva per cause in parte esterne, in parte interne, l’uomo comune s’è cominciato a chiedere quello che avrebbe dovuto domandarsi sin dall’inizio: non possono forse esistere altre materie, più utili sul piano pratico, che costituiscano la stessa “palestra” di logica, pazienza, attenzione e memoria? Non potrebbero assolvere a questo compito la matematica, la logica formale, lo studio d’una lingua viva, come il tedesco, o, oggi, la logica computazionale? D’altro canto, anche se non si ha ancora il coraggio d’ammetterlo, è evidente che spesso certi sistemi e l’impostazione che si dà allo studio delle lingue e della civiltà classiche produce una selezione al contrario: non eccellono quelli che, come scrisse Cicerone, sono in grado, per la loro indole ignea e viva, in aspectum lucemque proferre, di educere medium in agmen, in pulverem, in clamorem, in castra quanto appreso nelle aule scolastiche, ma coloro che se ita litteris abdiderunt ut nihil possint ex eis ad communem adferre fructum: quelli che Petronio chiamò doctores umbratici; di qui l’impressione falsa che queste discipline siano aliene dalla vita vera e reale, dalle sfide della modernità, dalle urgenti e pressanti necessità del mondo moderno.

A queste ragioni obiettive s’aggiunge una deriva, che ne è in parte la conseguenza e ne diviene contemporaneamente causa, dell’epoca moderna, che, smarrita qualunque visione del mondo che ponga in qualche cosa di più alto il fine dell’esistenza umana, non sa fare altro che celebrare un pragmatismo inteso all’accumulo dei sùbiti guadagni; la visione storicistica, che ha informato la scuola italiana per influenza soprattutto di due grandi personaggi come il Croce e il Gentile, va oggi perdendo piede di fronte a un soffocante prevalere d’una prospettiva bottegaia e mercantile di gente di picciolo affare d’ogni fazione. Le ragioni per cui i fautori di questa impostazione non solo della scuola, ma dell’intera società, sono ostili allo studio della classicità, dell’umanesimo, delle lettere, della filosofia e della storia sono evidenti, e mirabilmente tratteggiate nei romanzi di Aldous Huxley e di Ray Bradbury, che tutti i giovani dovrebbero leggere per comprendere meglio quel che accade oggi; purtroppo le lingue latina e greca, in particolare, offrono il fianco a facili attacchi, per le ragioni che ho espresso sopra, le quali le rendono assai vulnerabili e difficilmente difendibili; ma anche la storia antica ha avuto i suoi colpi mortali e la filosofia in tutt’Europa è in grave pericolo.




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