sábado, 30 de outubro de 2010

O tempora! O mores!

Ao procurar na internet algo interessante sobre o argumento "filologia", eis que me deparo com o seguinte texto, conclusão de um artigo publicado pelo site http://www.filologia.org.br/revista/36/07.htm  "O ablativo absoluto é naturalmente apenas um pensamento à parte, uma observação separada, como se fosse um virtual par de parênteses. É tão excessivamente encapsulado e condensado que perde os caracteres mórficos de pessoa, número e gênero (nos particípios há gênero), dispensando conectivo oracional e se justapondo ao parágrafo unicamente com uma vírgula. Apresenta as formas de particípio presente ou passado em ablativo. Tem força de persuasão tanto quanto um silogismo. E Aristóteles, em sua Arte Retórica, se o examinasse, talvez lamentasse o fato de a língua grega tê-lo perdido e concentrado no genitivo este papel gramatical. É que o ablativo é o caso genuinamente latino, por isso, os outros idiomas podem imitá-lo, estabelecendo interfaces, mas não emparelhá-lo absolutamente"

O grifo é nosso. Marca duas expressões que realmente não compreendi. A primeira afirmação (de que o ablativo absoluto perde os caracteres mórficos de pessoa, número e gênero) não se confirma, por exemplo, nesta simples estrutura sintática: "Cicerone cenante nuntius litteras Quinti attulit.": será que o participio "cenante" perdeu os caracteres mórficos de número e gênero? (Como perderia esses caracteres pois o participio ablativo deve concordar em genero, número e caso com o seu sujeito "Cicerone"?). Sabe-se que o ablativo absoluto é equivalente a uma proposição subordinada, cujo sujeito não exerce nenhuma função na proposição principal, e constituída por um nome (sujeito da proposição) e de um particípio presente ou perfeito que concorda com o sujeito em gênero, número e caso (ablativo, naturalmente).
Quanto à segunda afirmação, isto é, o fato da língua grega ter perdido o ablativo a tal ponto de merecer o lamento de Aristóteles que provavelmente o comentaria em sua Arte Retórica, também vai contra este fato da glotologia clássica: o único resquício atestado do que teria sido o ablativo na língua grega é o sufixo -φί, conservado somente na língua homérica, sempre com valor instrumental, ou para designar a companhia, ou o locativo, portanto, inapto para suprir a função de ablativo absoluto (cf. August Schleicher,Leo Meyer, Compendio di grammatica comparativa dello antico indiano, greco ed italico, p.323-324 ). A não ser que tenham descoberto algum papiro, pergaminho ou epigrafe inéditos que testemunhem o emprego do ablativo na língua grega! Pelo que eu saiba, a língua grega não perdeu o ablativo! A sua função gramatical indo-européia é que foi assumida pelo genitivo!
O que me espanta é que estas afirmações partem de letrados e não de simples estudantes. O tempora ! O mores!!!
AVRELIVS

sexta-feira, 29 de outubro de 2010

Estudo sobre o problema do confronto entre cristãos e "pagãos" no século IV

Pantheon, Roma: signo do encontro-confronto entre cristianismo e paganismo

Abaixo segue um link do site Diritto@storia contendo um estudo do eminente Dr. Bronisław Sitek (professor associado da Faculdade de Jurisprudência da Universidade de Varmia e Masuria, Olsztyn) sobre o problema do confronto entre cristianismo e paganismo no século IV. Através de um aprofundado estudo do Codex Theodosianus, o egregio professor conclui que " la tesi dell’assenza di tolleranza nella religione cristiana verso i pagani o gli eretici è falsa: a mio avviso, dal 380 in poi coloro che decidevano della politica dell’Impero non erano più i Cristiani di profonda fede, ma tutti coloro per i quali la nuova religione era un trampolino per la carriera politica o per una ulteriore possibilità di promozione sociale." Isso responde às críticas daqueles que tendenciosamente buscam ver no cristianismo antigo somente uma fonte de intolerância e aniquilamento da cultura clássica. Com isso não queremos negar que houve, de fato, episódios não raros de intolerância cristã, todavia uma tendenciosa depreciação que visa o desprezo pelo estudo crítico do patrimônio cultural do cristianismo antigo não me parece  uma reta postura acadêmica, justamente pela falta de imparcialidade, além do que afirmar que o cristianismo cancelou a cultura clássica é uma inverdade histórica, comprovada pela arquelogia e pela história da literatura tardo-antiga.
AVRELIVS



Bronisław Sitek, Sull'editto teodosiano De Fide Catholica. riflessioni su tolleranza e intolleranza religiosa tra IV e V secolo d.C. : http://www.dirittoestoria.it/4/Contributi/Sitek-Editto-Teodosiano-de-fide-catholica.htm


quarta-feira, 27 de outubro de 2010

Latino Cristiano

epigrafe funeraria di un "puer christianus" (408 d.C.)

Del latino cristiano esistono diverse categorie e sotto-categorie: l'ecclesiastico, suddiviso in sacrale, liturgico, biblico; il letterario; il popolare. Interessanti testimonianze sono ricavabili dagli atti ufficiali dei martiri e dalle passiones in forma narrativa. Ancora diversa è la lingua delle prediche. Spesso peculiare è la lingua monastica.




Lo studio del latino cristiano è cominciato nel XIX secolo ad opera del francese di origine italiana Ozanam e del tedesco Koffman. In Olanda, nella scuola di Nimega, con il prof. Joseph Schrijnen e l'allieva Christina Mohrmann, si sviluppò il concetto di latino cristiano come Sondersprache, “lingua speciale”, ossia lingua parlata da un gruppo di persone posto in speciali condizioni. Ci si riferisce a lingue speciali come a lingue tecniche, caratterizzate da due funzioni: 1)funzione caratterizzante (di tipo sociale, professionale, cronologico); 2) funzione di coesione del gruppo.


Anche la lingua della comunità cristiana deve svolgere entrambe queste funzioni:


1) Funzione caratterizzante. Il messaggio religioso del cristianesimo richiede ai suoi seguaci un cambio di vita radicale, che li separa dal resto della comunità: a proposito della conversione, S. Paolo parla di “καινότης ζοῆς”, “novitas vitae” (Epistola ai Romani), la conversione è “μεταμορφοῦσθαι”; nelle epistole di Barnaba si parla di “ἀναπλάσσειν”, “riplasmare”; ancora in S. Paolo (I epistola ai Corinzi) Adamo “homo vetus” contrapposto al novello Adamo Cristo, “homo novus”; in Aristide, apologeta dell'età di Adriano, vi è l'espressione “questo è davvero un popolo nuovo”.


2) Funzione di coesione del gruppo. Gli appartenenti a un gruppo sono portati a formulare dei moduli comportamentali omogenei: nella comunità cristiana, per di più, la stessa realtà delle persecuzioni conduceva allo sviluppo del senso di solidarietà. Inoltre i Cristiani avevano una forte coscienza di antagonismo nei confronti dei pagani come dei giudei: si definivano τρίτον γένος, tertium genus. In Celso, autore del III secolo di un Ἀληθὴς λόγος contro i Cristiani (a cui risponde Origene con il Contra Celsum) vi è l'uso del verbo ἀποτειχίζω: i Cristiani usano “ἀποτειχίζειν αὑτούς”, chiudersi all'interno di mura. In sostanza, per Celso, si arroccavano dentro le mura della comunità.






[E’ interessante notare come il greco cristiano subì modificazioni linguistiche molto minori del latino. In primo luogo esso aveva alle spalle il greco giudaico e poteva servirsene come di un serbatoio linguistico già affermato e sperimentato. In secondo luogo la lingua greca è più duttile di quella latina, è molto più pronta ad esprimere concetti nuovi senza subire cambiamenti profondi (si veda la grande capacità di creare neologismi e composti e di parlare per astrazioni).]






Il latino usato dai Cristiani era dunque parzialmente diverso da quello usato dagli altri. Si ebbe un rinnovamento sintattico e lessicale, ispirato sia al greco dei primi Cristiani sia ad usi propri del latino “basso”, popolare. I Cristiani erano coscienti della diversità del loro linguaggio: alla fine del Vangelo di Marco si legge “quelli che vorranno farsi Cristiani, mostreranno segni particolari”, tra cui la lingua: “linguis loquentur novis”. L'apologista Arnobio si rende conto che il testo sacro delle comunità cristiane provoca presso i pagani un senso di ripulsa, “trivialis et sordidus sermo est. Res vestrae barbarismi, solecismi, vitiorum deformitate pollunt”. Altra testimonianza del rifiuto da parte del saeculum della lingua cristiana è in Lattanzio: i profeti hanno parlato con “sermo communis ac simplex, ut populus”, un sermo che non trova credito presso i dotti (non c'è “fides”), i quali prediligono uno stile “politum et disertum”.


Se gli influssi greci nel latino cristiano sono facilmente spiegabili, il suo carattere “popolare” ha motivazioni più articolate.


1) Motivi di carattere ideologico. Il cristianesimo rivaluta la semplicità e la purezza di cuore rispetto alla sapienza e all’eloquenza. Un esempio in Matteo11:25: “Io ti rendo grazia, Padre Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapientes e ai prudentes di questo saeculum, ma le hai rivelate ai parvulοs”. In un capovolgimento totale, il sapiente e il filosofo, non costituiscono più dei modelli: addirittura, in 18:2, sono i bambini ad essere portati ad esempio. S. Paolo, nella I epistola ai Corinzi dice: “sono venuto per evangelizzare non in sapientia verbi ut non evacuetur crux Cristi”; “non sono venuto tra voi in sublimitate sermonis”; “la mia sapientia è nulla, io conosco solo Christum crucifixum”; “nessuno s'inganni se a qualcuno sembra di essere sapiente in questo saeculum: egli diventi stolto ut sit sapiens.” “la sapientia di questo mondo est stultitia apud Deum. Smaschererò i sapienti nella loro malizia - sta scritto”. Si verifica, dunque, un capovolgimento dei tradizionali parametri della παιδεία e l'accrescimento di importanza del contenuto rispetto alla forma. Agostino, De doctrina Cristiana: “In ipso sermone doctor Cristianus malit rebus placere quam verbis. Reputi che sia stato detto meglio quanto sia stato detto con la maggior veritas”; “Non doctor verbis serviat, sed docti verba”. Lattanzio sostiene che “Le cose divine sono state annunciate breviter ac nude”. [Ma talvolta il latino cristiano bada anche alla forma, nella misura in cui essa è funzionale alla retta esposizione del contenuto. Più volte Agostino ribadisce l'utilitarismo della lingua cristiana, che non deve mirare a delectare, ma a far prevalere l'aspetto del docere (De doctrina Cristiana); ma egli riconosce anche la necessità dell'eloquenza posta al servizio della verità.]


2) Motivi di carattere storico La motivazione più appariscente di ordine storico che conduce all'adozione del sermo vulgaris da parte dei Cristiani è costituita dall’umile estrazione sociale dei primi seguaci. Importanza fondamentale aveva il testo biblico con cui il cristiano era quotidianamente a contatto e di cui assimilava la lingua: le traduzioni latine, in origine, erano dovute ad anonimi che si impegnavano a rendere nel proprio stile linguistico, vulgaris, qualsiasi manoscritto capitasse loro sotto mano. Secondo S. Agostino, chiunque “ausus est interpretari”. Con il tempo le caratteristiche linguistiche di queste traduzioni non vennero sentite più come volgarismi e, anche attraverso un processo di nobilitazione e di sacralizzazione, divengono istituzionali. S. Agostino, p.es., nel De doctrina Cristiana, così commenta un'espressione della Vetus, in cui floriet compariva come futuro al posto di florebit: “Certo un editore più esperto preferirebbe la correzione di questo termine e niente impedirebbe la correzione, nisi consuetudo”.










SINTASSI






L'influsso principale è greco, oppure ebraico, mediato dal greco. In genere l'innovazione consiste nel potenziamento di certe tendenze represse, nella rivalutazione di ciò che era più o meno in disuso.










1) Ebraismi (mediati dal greco)






• genitivo di qualita' al posto dell'aggettivo: odor suavitatis in luogo di odor suavis; opus iniquitatis in luogo di opus iniquum; terra promissionis in luogo di terra promessa. Il costrutto è già in Apuleio


• genitivo intensivo o elativo: saecula saeculorum; vanitas vanitatum; canticum canticorum.


• pleonasmi: praedixit dicens. Sono frequenti nella Bibbia.


• figure etimologiche: gaudens gaudebo; videntes videmus. Già presente nel genitivo intensivo la figura etimologica era patrimonio del latino pagano, con l'accusativo dell'oggetto interno (vivere vitam) e con l'ablativo interno (censu censere).


• quia con valore asseverativo: vivit Dominus quia dove quia = veramente.


• costrutti di tipo preposizionale


Si rientra nell'ambito del sermo vulgaris: il latino parlato tendeva a rafforzare il significato con preposizioni secondo un uso di stampo greco su base ebraica. Si può parlare in questo caso di coincidenza fra volgarismo e arcaismo.


• in + ablativo strumentale: glaudium sumere in manu (Cipriano); eicere demonia in nomine Dei. Era un uso tipico del latino parlato e lo diventa anche nel latino tardo quando la soppressione dei casi obbliga all'uso della preposizione; il latino avrebbe usato l'ablativo semplice, tranne nel caso in cui vi era espressa l'idea di luogo: ad es. laetor in o delector in.


• in + ablativo sociativo: venire in carne; venire in maiestate; venire in caritate.


• in + accusativo predicativo: lignum vobis erit in aescam; venire in servos. Indica un processo di evoluzione.


• super + accusativo in funzione comparativa: desiderabilia super aurum. Anche dopo comparativo: dulciora super mel.


• super con verbi di sentimento: admirari super; irasci super.


• ab + ablativo di comparazione: maior ab angelis. Nella vetus latina si trova anche dopo aggettivi di grado positivo: fulvi oculi a vino. L'ablativo come secondo termine di paragone nasce come ablativo di separazione: possiede quindi una certa predisposizione per il nuovo costrutto, anche sotto la spinta della forma greca con ἀπό.






2) Grecismi






• genitivo di comparazione: maior illo o maior quam ille diventa maior illius. Si trova anche prima degli scrittori cristiani, in Vitruvio e in iscrizioni di età augustea; è legato quindi al sermo vulgaris.


• genitivo con verbi di percezione: audio alicuius, su modello greco.


• genitivo con verbi di comando: anche qui c'è l'influsso del modello greco.


• si + interrogativa indiretta: il latino classico usava num, an, utrum, etc., il latino cristiano si con l'indicativo. Nella vetus: “Videmus si venit”. Il costrutto è presente anche in Plauto e si basa sull'uso greco di  congiunzione tanto condizionale, quanto interrogativa. San Gerolamo corregge questa forma e scrive: “Videmus an veniat”.


• ut consecutivo + infinito: ita ut sedere, corretto da Gerolamo in “ita ut sederet”.


• proposizione dipendente da verba dicendi: dico quod, dico quia, dico quoniam + verbo di modo finito: la costruzione è analitica. Il costrutto regolare analitico richiede il congiuntivo: in seguito si afferma l'indicativo. Il latino classico aveva dei casi in cui si poteva scegliere tra il costrutto infinitivo e quello analitico, con i verba sentiendi: laetor te vicisse o laetor quod vicisti. Il costrutto analitico risale a Plauto: “scio iam filius quod amet maeretricem” (Asinaria). Lo si trova anche nel Bellum Hispaniense: “legati renuntiaverunt quod haberet Pompeium in potestate”. S. Agostino nelle opere precedenti al battesimo, De vita beata e Contra academicos, usa poche volte questo costrutto: 1 volta su 55; in seguito l'adesione spirituale al cristianesimo influisce notevolmente sulle sue scelte linguistiche, mantenendosi sempre una distinzione stilistica fra opere di diverso genere (nelle Confessiones vi è 1 costrutto analitico su 11 infinitivi, nei Sermones il rapporto sale a 1:2).


• infinito finale: non introdotto da nulla; existis comprehendere me. Il latino classico avrebbe usato ut + congiuntivo o ad + gerundivo. L'uso del semplice infinito si estende anche a dignus: dignus laudari. Anche qui il modello è greco.


• genitivo assoluto: cogitantium omnium nella vetus, corretto nella vulgata in cogitantibus omnibus. In ambito pagano la forma è attestata nel Bellum Hispaniense.


• indicativo nelle interrogative indirette: nella bibbia: “Non legitis quid fecit David?”. Gerolamo corresse in fecerit.






3) Volgarismi






Derivano soprattutto dalla lingua arcaica e dal sermo vulgaris, le influenze esterne sono limitate.






• singolare collettivo: gentilis, ereticus, manichaeus, opus= opere di misericordia.


Nel latino era solitamente legato alle lingue speciali, per esempio al linguaggio militare.


• verba dicendi con ad + accusativo: al posto di dicere alicui si trova dicere ad aliquem. Potrebbe esserci influsso greco, ma in realtà il costrutto ha premesse autonome nel latino: è particolarmente frequente nel latino biblico dove l'indeclinabilità dei nomi ebraici avrebbe reso impossibile l'intelligenza del testo con il costrutto tradizionale. In una frase del tipo: “Abraham dicit Isaac” chi parla a chi?


• benedicere + accusativo: il costrutto deriva dal neologismo semasiologico del verbo.


In Petronio si trova già maledicere + accusativo.


• genitivo brachilogico: erit enim eius de cuius instrui concupisci. Manca doctrinis per ellissi intenzionale.


• nominativo e accusativo assoluto


• aggettivo al posto del genitivo: passio dominica per passio domini, apostolica verba, divina praecepta. Il costrutto è tipico della lingua popolare ma anche del linguaggio ricercato: lo troviamo in Apuleio e Lattanzio.


• pronome dimostativo con valore di articolo


• habere + infinito con valore di futuro: habeo dicere per dicam. In Cicerone habeo + infinito ha valore potenziale: habeo dicere= ho qualcosa da dire; in Seneca seniorquid habui facere equivale a quid facere.


• ablativo del gerundio al posto del participio: transit benefacendo et sanando.


• ut + infinito con valore finale: si trova nel giurista Gaio.


• utor e fungor con accusativo: anche in Plauto.










LESSICO






La lingua viene innovata attraverso l’adattamento di vocaboli greci od ebraici (prestiti), il cambiamento di significato di parole latine già esistenti sul modello delle parole greche od ebraiche corrispondenti (calchi), l’invenzione di parole nuove (neologismi)






a) Prestiti






Si tratta soprattutto di grecismi. Si erano già diffusi in età arcaica, nel periodo di Scipione, ma successivamente la lingua colta tese a evitarli, mentre il sermo familiaris continuò a coltivarli e diffonderli. I grecismi furono scelti dai cristiani per connotare entità concrete. Più rari gli ebraismi (attraverso il greco del Nuovo Testamento).






1) Grecismi


• agape, non indica il concetto astratto greco (per indicare “amore” si usò dilectio, neologismo lessicologico, o caritas, neologismo semantico), ma il “banchetto”


• anathema


• angelus preferito a nuntius, termine compromesso con la realtà pagana


• apostata in luogo di transfuga e transgressor, termini mancanti di specificità


• apostolus in luogo di missus


• baptisma


• catechumenus, invece di auditor


• clerus invece di ordo


• diaconus


• episcopus, invece di antistes


• evangelium


• martyr, in luogo di testis


• paradisus


• psalmus


• presbiter


• epifania è un prestito della seconda ora. S. Agostino usa anche manifestatio


• monacus


• monasterium


• orthodoxus






2) Ebraismi


• gheena “inferno”


• satanas


• pasca, gr. πάσχα










b) Calchi






1) Parole singole


• adversarius e advorsarius indica il diavolo


• benedicere diventa transitivo con il significato di “benedire”, “consacrare”, “invocare il favore divino” su qualcuno; di qui benedictio, gr. εὐλογία


• caritas “amore” in senso cristiano gr. ἀγάπη


• caro, carnis “carne” in contrapposizione allo spirito


• confiteor “confessare” il peccato (confiteor peccata). Confessio indicava anche il luogo del martirio. Confiteor acquista anche il significato di “lodare”


• consubstantialis, gr. ὁμοούσιος


• credo neologismo anche sintattico “credo in”


• creo “creare dal nulla”


• dominus “il Signore”


• fides da “credere in qualcosa” a “credere all'annuncio”


• gentes, gentiles da “popoli” a “pagani”. Anche il termine pagano possedeva un valore antitetico e peggiorativo: contrapposto al populus Romanus, le gentes erano i barbari. La stessa connotazione negativa rimane nel latino cristiano.


• gratia da “favore”, “comprensione” a “benevolenza di Dio”, “forza salvifica”. Al plurale, gratiae = “doni dello Spirito”.


• lavacrum da “bagno” a “battesimo”


• mundus indica la realtà terrena in contrapposizione al mondo dello Spirito


• oratio da “discorso” a “preghiera”. Il termine precatio era troppo compromesso con il culto pagano.


• paenitentia da “pentimento” finisce per indicare il sentimento di conversione interiore che porta a rifiutare il peccato. Significa anche “sacramento penitenziale” e “punizione”.


• paganus assume il significato di “non cristiano” già nel IV secolo


• passio “passione di Cristo”


• pax indica la pace fra stato e chiesa, fra Dio e gli uomini


• praedicatio, gr. κήρυγμα


• redimo, redemptio da “pagare il riscatto” a “riscattare dal peccato”


• egeneratio da regenero, gr. παλιγγένεσις


• esurrectio da resurgo, gr. ἀνάστασις


• evelare “togliere il velo alla verità divina” da cui il neologismo lessicologico revelatio


• evelatio da revelo, gr. ἀποκαλύπτω


• acramentum contrapposto al grecismo mysterium


• aeculum da “generazione” a “mondo profano”


• alus “salvezza” spirituale


• criptura “testo sacro”


• verbum e sermo vengono usati per rendere il greco λόγος, anche se ratio sarebbe stato il termine più consono. In area italica prevale verbum, altrove sermo. Tertulliano preferisce sermo; Cipriano, nelle sue opere, usa esclusivamente sermo, ma quando cita passi biblici trascrive verbum.






2) Nessi di due parole


• ignis aeternus indica il fuoco infernale


• catholica fides


• secunda nativitas “la rinascita” cristiana


• dies iudici “giorno del giudizio (universale)”; precedentemente (vedi Cicerone) indicava il giorno di discussione di una causa in tribunale


• Spiritus sanctus






c) Neologismi






Per i termini astratti non si ricorre al grecismo, ma si stimola il latino a produrre parole nuove. Comunque il greco fornisce sempre il modello.






• apostolatus neologismo creato sul modello greco con l'aggiunta del suffisso latino. Altri esempi: episcopatus, blasfemator.


• carnalis, carnalitas, carnaliter. Sul modello di σαρκικός da σάρξ


• incarnor, incarnatio


• dilectio da diligo nel senso di “amare” cristianamente


• peccator


• salvator autonomo nei confronti di servator


• spiritualis da spiritus, sul modello del greco πνευματικός da πνεῦμα

sábado, 23 de outubro de 2010

redescoberto um afresco bizantino do VII século na Basílica de Santa Sabina - Roma

O afresco acima foi recentemente redescoberto pela Superintendencia dos bens artísticos e culturais de Roma duranre os trabalhos de restauro do muro daquele que era o primitivo pórtico de entrada da Basílica de Santa Sabina (igreja constrída entre 422-432 pelo presbítero Pedro de Illíria sobre a casa da matrona romana Sabina). O afresco data do século VII pois retrata, além da Virgem Maria, Ss. Pedro e Paulo, Santa Sabina e Santa Serafia, os legados papais do Concílio de Constantinopla (ano 680): o arcipreste Teodoro e o presbítero Jorge e, ao lado oposto do afresco, o papa Agatão (ou seu sucessor). Como os legados papais estão representados com o nimbo quadrado, indica que os mesmos ainda eram vivos durante a composição do afresco, o que ajuda na sua datação. Este afresco raríssimo nos remete ao período entre os século VII e VIII, quando em Roma dominava a comunidade e a cultura grega, com os mosteiros gregos concentrados entre o Aventino e a margem do grande Tevere, justamente na zona onde está localizada a basílica de Santa Sabina. Nesta época, os papas, monges e artistas falavam a língua de Bizancio, uma estação importante da arte romana, mas pouco documentada.
antigas epigrafes funerárias afixadas no muro onde se encontra o afresco recém-descoberto

interior da basílica de santa Sabina
fotos efetudas por AVRELIVS (23-10-2010)

terça-feira, 19 de outubro de 2010

Premio Internacional "Paulo VI" concedido ao Instituto "Sources Chrétiennes"

Communiqué de presse pour la sixième édition du Prix International Paul VI 2009 attribué à « Sources Chrétiennes »


Le comité scientifique et le comité exécutif de l’Institut Paul VI, après une évaluation attentive des nombreuses candidatures a décidé à l’unanimité d’attribuer cette année le Prix International Paul VI aux éditions françaises « Sources Chrétiennes ». Ce choix se veut être une reconnaissance de l’engagement des éditions « Sources Chrétiennes » dans la redécouverte et la publication des sources chrétiennes et médiévales. Le prix a été remis par S.S. Benoît XVI au cours de l’inauguration du nouveau siège de l’institut Paul VI à Concesio, dans l’après midi du 8 novembre 2009.

C’est en effet en allant à la découverte de la période apostolique et patristique que l’on apprend le sens universel et unitaire de la civilisation chrétienne, ainsi que les efforts d’organisation, de formation et les efforts pastoraux accomplis par l’Église. La collection des écrits patristiques, qui se compose aujourd’hui de plus de 530 volumes, a ainsi aidé à renouveler l’appréciation et la compréhension de la tradition dans laquelle sont enracinées la pensée chrétienne et la vie ecclésiastique : une tradition qui doit être appréciée dans toute son ampleur et dans la variété des ses expressions. L’entreprise éditoriale entamée en 1942 par Henri de Lubac et Jean Daniélou a, comme l’indique la mention remise, « une importante signification culturelle, éducative, théologique et ecclésiastique » parce qu’elle favorise la « recherche historique en nous proposant une documentation des moments essentiels du développement de la pensée et elle permet d’éclairer la rencontre féconde entre le message chrétien et la culture antique ».

segunda-feira, 18 de outubro de 2010

Algumas considerações sobre Διδαχή 9, 1- 10, 7

Titulo e início do texto da Didache no Codex Hierosolymitanus (1056 d.C.)

As seguintes considerações são fruto das notas em sala de aula durante a lição de Literatura Cristã Grega Antiga realizada pelo prof. Dr. Roberto Fusco, especialista em literatura Bizantina.

O capítulo 9 da Didache apresentaria a descrição de um rito que pode ser considerado a primeira codificação ritualistica  do culto cristão por excelência, isto é, a eucaristia.? A resposta depende do significado do vocabulo εὐχαριστία que aparece pela primeira vez na literatura grega cristã no escrito em questão.
No início da seção (9,1), a efeito de título, encontra-se a expressão  Περὶ δὲ τῆς εὐχαριστίας. O termo εὐχαριστία não aparece no Novo Testamento, enquanto o verbo correspondente (eucharistéw) é que entra no contexto do conjunto dos gestos de Cristo na ùltima Ceia com o significado de "render graças": Mt 26,27; Mc 14,23; I Cor 11,24, sempre no particípio aoristo 1( eucharistesas). No ambito clássico designa o ato de agadecimento, a gratidão, acepção aliás mantida por longo tempo em ambito cristão, onde muito rapidamente assume a velencia técnica de caráter sacramental associada ao sacrifício eucarístico, ou um sentido mais específico relativo à oração ou à matéria eucarística. Sobre o significado do vocabulo na Didache foram levantadas várias hipóteses: ou refere-se a uma forma de benção durante uma simples tipologia de banquete fraterno de natureza a-ritual, ou a um banquete de caráter não propriamente sacramental, mas estreitamente associado à Fractio Panis propriamente dita, sendo uma espécie de ágape fraterno, ou refere-se às orações que fazem parte de uma verdadeira e própria liturgia eucarística.
Outro ponto de destaque é a referência sobre o cálice: πρῶτον περὶ τοῦ ποτηρίονυ: a oração inicia-se primeiramente sobre o cálice. A ordem inversa em relação à Liturgia da Igreja que se fundamenta em Mt 26, 26-29; Mc 14, 22-25; 1 Cor 22, 23-25, é confirmada, porém, em Lc 22, 17-19 e 1 Cor 10, 16. Esta inversão, que à primeira vista poderia excluir a acepção litúrgica do termo εὐχαριστία na Didache, pode muito bem ser considerada como um reflexo de costumes propriamente judaicos ou, contrariamente, uma manifestação, por contraste, da novidade do rito da Nova Aliança.
A expressão ὥσπερ ἦν τοῦτο τὸ κλάσμα διεσκορπισμένον ἐπάνω τῶν ὀρέων pode muito bem ser um eco da "multiplicação os pães". A noção do pão fracionado e do fragmento de pão é bem conhecida no cristianismo primitivo. O termo  κλάσμα, por exemplo, é usado nos sinóticos para designar os fragmentos recolhidos após a multipllicação dos pães (Mt 14,20; Mc 6, 43; Lc 9, 17). Em 1 Cor 10,16 o verbo  κλάω designa o gesto que está coligado à comunhão com o Corpo de Cristo, elemento que contra-distingue e identifica o próprio Cristo no encontro de Emaús (Lc 24,35) e que em At 2, 42 torna-se uma das primeiras formas de designação do rito eucarístico.
Outra expressão importante para esclarecer o significado do termo εὐχαριστία na Didache é μηδεὶς δὲ φαγέτω μηδὲ πιέτω ἀπὸ τῆς εὐχαριστίας ὑμῶν, ἀλλ’ οἱ βαπτισθέντες εἰς ὄνομα κυρίου·  Tal proibição denota um forte valor ritual e técnico ao termo, embora ainda não pode feche definitivamente a questão
Divisor de águas pode ser a expressão Μετὰ δὲ τὸ ἐμπλησθῆναι οὗτως εὐχαριστήσατε, no início do capítulo 10. Tomada num sentido literal, comprovaria a presença de um banquete entre a primeira e a segunda "ação de graças", todavia, uma leitura em chave alegórica, interpretando τὸ ἐμπλησθῆναι, isto é, a noção de saciedade, em sentido espiritual, permitiria entrever no capítulo 10 uma espécie embrionária de oração após a Comunhão. Isto dependeria do sentido das expressões do v.6 que conclui a descrição das orações: ἐλθέτω χάρις καὶ παρελθέτω ὁ κόσμος οὗτος. Ὡσαννὰ τῷ θεῷ Δαυείδ. εἴ τις ἅγιός ἐστιν, ἐρχέσθω· εἴ τις οὐκ ἔστι, μετανοείτω· μαρὰν ἀθά· ἀμήν. Parece que estmos diante de um diálogo litúrgico, pois não haveria sentido se fosse pronunciadas pela mesma pessoa, pois a fraseologia é quebrada num ritmo de aclamação e resposta à aclamação, por exemplo: enquanto o sacerdote ou outro ministro diz: Venha a Graça e passe este mundo! a expressão "Hosana ao Deus de Davi" parece ser uma resposta à aclamação anterior. Lembremo-nos que tal expressão esta ligada aos últimos dias de Jesus em Jerusalém e pode ser uma resposta ao termo Graça da aclamação anterior, que indicaria a economia salvífica do NT efetuada na véspera da Paixão, e portanto coligada indubitavelmente também à Última Ceia. Depois há outra aclamação: Se há algum santo aproxime-se, se não, converta-se (mude de mentalidade, lit.) ao que outra pessoa responderia: Maranathá. Amém! Seria este diálogo algo equivalente ao atual: Felizes os convidados para a Ceia do Senhor: eis o Cordeiro de Deus que tira o pecado do mundo?
Todos estes elementos não fecham a questão, mas nos apontam numa mesma direção: o termo εὐχαριστία designa não um gesto qualquer de ação de graças, mas está ligado à descrição de uma liturgia "eucarística" muito antiga, talvez uma das primeiras tentativas de codificação do ritual mais importante dos cristãos.